martedì 24 maggio 2011

IL GIALLO DEL MULLAH OMAR




L’ultima immagine che avevamo di lui era mentre fuggiva in sella a una motocicletta nel dicembre del 2001, come nell’inizio del film Lawrence d’Arabia. Complice l’assenza di fotografie – se ne contano tre forse quattro di origine dubbia, a parte quella dove compare già trentenne senza l’occhio - negli ultimi dieci anni la voce della sua morte si è rincorsa più volte. Sempre smentita perché mai confermata dalla Casa Bianca. Colui che ha vissuto all’opposto di Osama Bin Laden, in modo riservato, modesto, singolare, avventuroso, al punto da essere definito dagli americani “più che un uomo un enigma, un mistero”, sarebbe stato ucciso in Pakistan, durante il suo trasferimento da Quetta, in Pakistan, al Waziristan del Nord, al confine con l’Afghanistan. Lo ha reso noto l’emittente afghana Tolo News citando fonti anonime di sicurezza di Kabul. Un bel colpo per Barack Obama che, in caso di conferma della morte del Mullah Omar, in sole tre settimane avrebbe eliminato fisicamente i due nemici principali degli USA e dell’Occidente, blindando virtualmente il suo posto alla Casa Bianca per le prossime elezioni presidenziali. Ma anche in questo caso la notizia della morte del Mullah Omar porta con sé dubbi e contraddizioni e, come nel caso dell’esecuzione di Bin Laden, la mancanza del corpo che possa testimoniarne il decesso.
Chi lo ha conosciuto lo descrive come un gigante, alto 1,98 metri, di poche parole, quasi timido, umile. Dotato di un’eccezionale senso dell’ironia. Gentile, paziente, portato ad ascoltare più che parlare, capace di efferate violenze nel nome della sharia e dell’onore, come di perdonare i nemici. Un personaggio tra mito e realtà. A partire dal suo aspetto: “come i corsari di un tempo, porta abitualmente una benda nera sull’occhio destro” - racconta Massimo Fini - che perse a 27 anni in una battaglia combattuta contro i sovietici ai confini col Pakistan. Si narra che colpito dalle schegge di una mina in pieno volto, si sia strappato l’occhio e ricucito le palpebre. Solo l’indomani sarebbe stato trasportato in un ospedale della Croce Rossa in Pakistan.
Alla testa del Talebani, con lo scopo iniziale di riportare la pace in Afghanistan sconfiggendo i corrotti “signori della guerra”, disarmare la popolazione, imporre la sharia e preservare l’integrità e il carattere islamico del Paese, il Mullah Omar ripulisce l’Afghanistan dai predoni e dalla corruzione, riportando un duro ordine e una dura legge. I Talebani entrano a Kabul il 26 settembre 1996 e non la lasceranno fino all’intervento americano di cinque anni dopo. Da qui impongono un’interpretazione rigida e letterale della legge coranica, senza distinzione tra campagna e città: sono proprio i grandi siti urbani a soffrire di più il regime talebano, mentre nei sobborghi rurali il consenso del Mullah Omar è alle stelle. Conquistata Kabul, Omar non entra nel governo ma si ritaglia un ruolo di guida ideologica: più che un capo religioso egli è un leader politico e militare.
L’Occidente non può comprendere quest’uomo, così diverso, così “alieno” dalla cultura “democratica” che ci ostiniamo a importare a costo di violenze, soprusi, morti, in nome di una superiorità che ci siamo attribuiti a priori. Gli USA, in particolare, si sono arrogati il primato internazionale di tutori della democrazia, dei valori politici ed economici universali di libertà, eguaglianza, proprietà privata e mercato. In quanto ago della bilancia a livello mondiale, sulla base di un astratto primato politico, l’eccezionalismo americano spinge USA e alleati europei a esportare il modello del liberalismo ovunque ce ne sia il bisogno e a costo di qualche eccesso. Peccato che troppo spesso i diritti da salvaguardare vengano scelti sulla base degli interessi delle lobbies che dominano la società. In questo senso anche l’assimilazione del Mullah a terrorista e l’equiparazione con Osama bin Laden sono dei falsi storici utili alla causa dell’“esportazione della democrazia” in territorio afghano. Omar detesta Osama, lo definisce “un piccolo uomo”, i rapporti tra i due sono unicamente di reciproca utilità. Non potrebbero essere più diversi: il Califfo saudita, su cui aleggia l’ombra della CIA, è un esibizionista, un terrorista, e un internazionalista islamico, mentre il Mullah Omar è l’opposto: gli interessa solo il suo Paese, dai cui confini non è mai uscito, fino alla fuga nel sud del Pakistan dopo l’invasione americana. È nato in una famiglia poverissima, non è anti americano né un anti occidentale, è invece un anti modernista con il sogno di un “Medioevo sostenibile”: “nell’era della Modernità trionfante, avanzante e conquistante osava proporre l’Antimodernità, una società del tutto diversa, pauperista, in antitesi concettualmente radicale al modello di sviluppo moderno”, spiega Fini nel suo Il Mullah Omar. Omar detesta inoltre apparire quasi quanto la corruzione, è un uomo di parola, se promette una cosa la fa. È adorato dai suoi uomini per il suo valore, per l’attaccamento sincero alla legge coranica, per il rispetto che concede all’altrui persona. Sarà proprio l’attaccamento al valore dell’ospitalità la causa “formale” dell’invasione americana: l’aver rifiutato di consegnare Osama Bin Laden in quanto “ospite” sul territorio afghano. L’ospite per i talebani è sacro, e per quanto non apprezzino Osama, non possono consegnarlo al Governo USA senza le prove che sia effettivamente l’autore degli attentati del 1998 e poi dell’11 settembre. Ma la mancata consegna del ricercato numero uno è solo la causa “ufficiale” a cui da corollario si aggiunge la denuncia del mancato rispetto dei diritti umani. Come sei i “padroni della guerra” scacciati dal Mullah non fossero stati dei criminali corrotti ben peggiori dei talebani. Ma l’ONU e l’Occidente si rifiutano di riconoscere il governo talebano, nonostante un primo avvicinamento dell’amministrazione Clinton al regime. Agli USA fa comodo, infatti, trattare con il Mullah: hanno bisogno di costruire il Gasdotto e sono sicuri che Omar non avrà il coraggio di rifiutare l’appalto alla UNOCAL, la multinazionale nel cui consiglio di amministrazione troviamo Donald Rumsfeld, Condoleeza Rice, la famiglia Bush e persino Hamid Karzai, futuro presidente afghano. Il coinvolgimento di funzionari governativi nella UNOCAL insospettisce invece il Mullah che preferisce trattare con l’argentina BRIDAS, diretta dall’italiano Carlo Bulgheroni. I rapporti con gli americani si incrinano proprio nel 1997 quando dopo aver a lungo tergiversato, Omar decide di affidare la costruzione del Gasdotto alla BRIDAS. Per gli americani è davvero un brutto colpo. Non se lo aspettano. Per non far perdere la commessa all’UNOCAL si riducono a corteggiare il nemico di sempre, l’Iran, al quale propongono un progetto alternativo: il passaggio del Gasdotto attraverso il territorio iraniano per arrivare alla Turchia senza dover passare dall’Afghanistan. È in questo periodo che gli USA si affidano alla lunga mano dei Media per screditare il regime talebano e alzare il velo sui soprusi nel Paese, che fino a quel momento avevano invece tollerato. Ma si sa, la logica dei soldi può far cambiare alleanze e posizioni. Da questo momento inizia una vera e propria campagna di dichiarazioni dei Media occidentali – che fino a quel momento non si erano occupati del Paese - che deplorano la condizione delle donne e dei diritti umani negati in Afghanistan.
Se Omar avesse fatto la scelta giusta, forse, citando il Presidente Franklin Delano Roosevelt, sarebbe rimasto un figlio di puttana, ma il nostro figlio di puttana! Ma Omar non è un Anastasio Somoza, né un burattino qualsiasi nelle mani degli americani: egli ha a cuore solo il bene del suo Paese. Per questo arriva a trattare con il Presidente Clinton per la consegna di Bin Laden, proposta che inaspettatamente viene rifiutata dalla Casa Bianca. Al contempo propone di eliminare la coltivazione del papavero e il traffico di oppio in cambio del riconoscimento del Governo talebano. L’Occidente, ancora una volta, rifiuta. Omar abbraccerà comunque l’eliminazione della coltivazione del papavero, facendo crollare quasi a zero la produzione di oppio. Ennesimo schiaffo all’Occidente che sul traffico di stupefacenti macina un business a sette zeri. Un’incredibile scortesia alle agenzia di Stampa che stavano facendo un bel lavoro nel dipingere i Talebani come “bestie”. Un provvedimento comodamente dimenticato dai Media occidentali che sotto le pressioni internazionali dipingono il regime talebano in modo univoco, senza quel rispetto che una cultura diversa dovrebbe richiedere. Il diverso che non scende a patti con le lobbies va annientato. Cancellato. Ecco che per spazzare via il nuovo nemico va costruita un’ingente macchina del consenso che faccia presa sulle paure collettive e che dipinga il diverso come un mostro da combattere. Il Mullah Omar viene così equiparato e confuso con Bin Laden, senza neppure badare al messaggio di cordoglio che il Mullah fece trasmettere al Governo USA all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle: “Noi condanniamo formalmente i fatti che sono avvenuti negli Stati Uniti al World Trade Center e al Pentagono. Condividiamo il dolore che tutti coloro che hanno perso i loro famigliari e i loro cari in questi incidenti. Tutti i responsabili devono essere assicurati alla giustizia. Noi vogliamo che siano puniti e ci auguriamo che l’America sia paziente e prudente nelle sue azioni”. Ma come ben sappiamo quella prudenza sperata non contraddistingue il Pentagono che, avendo già pronti i piani per l’invasione dell’Afghanistan, attacca Kabul nell’ottobre del 2001.
Il resto è storia.
Omar si dà alla macchia e diventa irraggiungibile. Si dimostra più furbo dei servizi segreti pachistani, delle forze di terra americane, dei contingenti di Karzai. Diventa in poco tempo un fantasma, ben lontano dall’esibizionismo del fondatore di Al Qaeda che risponde ai bombardamenti di Tora Bora raccogliendo proseliti per lo jihad tramite video messaggi. La taglia che pende sulla sua testa di 25 milioni di dollari non spinge nessun talebano a consegnarlo alle forze nemiche. Nessuna cifra potrebbe giustificare un tradimento per una cultura che, seppur basata sulla violenza e su una rigida osservanza della legge, dimostra di aver anch’essa qualcosa da insegnare all’Occidente: l’onore e la fedeltà non si comprano con il denaro.

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