giovedì 26 maggio 2011

LA PRIMAVERA DELLA "DEMOCRAZIA"



di Enrica Perucchietti

Il paragone con la coppia d’acciaio Bush-Blair era scontata. E per nulla rassicurante. L’incontro tra Barack Obama e David Cameron – suggellato da una partita a ping pong - ha riproposto il sodalizio angloamericano che trova il premier inglese e il presidente americano – nonostante l’apparente differenza di schieramenti politici, il primo conservatore, il secondo democratico – concordi sulle linee da seguire in politica estera.
Come se Obama non avesse insistito abbastanza nelle scorse settimane sull’importanza della “presunta” (passatemi il termine) uccisione di Osama Bin Laden, senza neppur dover evocare il giallo della morte del Mullah Omar o l’arresto di quello che dovrebbe essere l’ex generale serbo bosniaco ricercato per genocidio, Ratko Mladic, Cameron ha ribadito che “ora possiamo sconfiggere Al Qaeda”. Peccato che la notizia della morte di Bin Laden – che non era comunque il capo di Al Qaeda da tempo - abbia portato non solo a una nuova spirale di attentati ma anche a un incremento dei fondi stanziati per la sicurezza nazionale americana. Altroché dormire sonni tranquilli. La notizia dell’eliminazione fisica di Osama avrà come conseguenza il mantenimento in vita delle cellule jihadiste. Un pretesto per continuare il giro di vite in tema di Sicurezza…
Sul fronte Afghanistan Cameron ha invece dichiarato sibillino, “sarà un anno cruciale”, senza poter spiegare in che senso. Prima di confrontarsi sulla primavera araba e sul conflitto in Libia, il premier inglese ha evocato l’11 settembre e l’impegno nel debellare il terrorismo. Peccato che la lotta che portò Bush a dichiarare guerra all’Afghanistan nell’autunno del 2001 – unico motivo la mancata consegna del regime talebano di Osama bin Laden – ha trascinato gli USA nella più lunga guerra dell’era contemporanea, battendo addirittura la durata di quella del Vietnam – 103 mesi “soltanto”. Una politica completamente sbagliata, il mancato rispetto della cultura e delle tradizioni afghane, il combattimento con i droni, il bombardamento di civili e il conseguente ricompattamento del fronte talebano che ha conquistato il favore della popolazione – soprattutto rurale - stremata da dieci anni di inutili conflitti e violenti incursioni anche contro obiettivi civili, ci viene offerta come una strategia vincente, quando dietro i proclami di peace keeping si nasconde una guerra all’Afghanistan – non in Afghanistan - per il controllo delle risorse e del territorio, che hanno dato vita al fenomeno, prima sconosciuto in quel Paese, del terrorismo. Mai il popolo afghano – neppure nella guerra contro i sovietici - aveva fatto ricorso agli attentati kamikaze che, una volta adottati sono stati per lo più indirizzati contro obiettivi militari, distinguendosi così dalla metodologia di Al Qaeda. Gli scandali che si sono susseguiti in questi anni – come la corruzione dei capi talebani da parte dei militari italiani per non essere “colpiti”, o l’infiltramento di talebani all’interno delle milizie afghane, o ancora la connivenza della polizia afghana con il “nemico da combattere” – ha rivelato con chiarezza il vero volto di una guerra inutile, disastrosa, sanguinaria.
All’incontro londinese si è parlato anche del programma di appoggio alla primavera araba promosso al G8 che si è aperto oggi a Deauville. Ma a monopolizzare l’attenzione mediatica è stato il discorso di Obama a Westminster Hall, nel quale il Presidente ha sottolineato il primato americano nel “guidare il mondo”. Il parallelo è corso subito al repubblicano Reagan – nei cui confronti Obama si è più volte espresso con parola di elogio - che nel giugno dell’82 aveva rilanciato il primato americano contro l’URSS promettendo che la marcia “della libertà e della democrazia avrebbe portato il marxismo e il leninismo nella pattumiera della storia”. Di lì a poco sarebbe stata coniata la definizione di URSS come “impero del male”.
Oggi, a quasi trent’anni di distanza, come profeticamente indicato da Giulietto Chiesa e seppur in modo diverso da Webster Tarpley, l’asse del “male” si concentra in Medio Oriente dove la primavera araba e i conflitti in Libia, Iraq, Afghanistan e le incursioni in Pakistan mirano a sottomettere politicamente l’area in modo da battere sul tempo la Cina sul fronte energetico e isolarla dal resto del mondo con basi militare americane costruite ad hoc nei punti nevralgici.
Compito di Obama negare il declino dell’Occidente che sembrerebbe punta a instaurare un fronte globale contro l’asse cino-sovietico. Per sventare il pericolo di un declino della leadership americana, Obama ha dichiarato che il declino dell’America e dell’Europa nel mondo “è una tesi sbagliata” e che l’Occidente resterà “il maggior catalizzatore dell’azione globale nel mondo grazie a una forza di intenti comuni – valori li chiama – “volti a difendere i diritti non solo degli Stati Uniti” ma di tutta la Terra.
È la dottrina dell’eccezionalismo americano secondo la quale, come ha fatto notare Noam Chomsky, “aggressione e terrore sono quasi sempre rappresentati come autodifesa e devozioni a visioni ispirate”. In questo senso vengono giustificate le azioni aggressive contro Iraq, Afghanistan, Pakistan e ora la Libia, sostenute da campagne di disinformazione dei Media mirate per manipolare il consenso pubblico.
Ormai gli equilibri della geopolitica angloamericana sono chiari: nel prossimo futuro sarà la Siria a subire le conseguenze dell’importazione del liberalismo americano. Le sanzioni contro Assad segnano solo il primo passo verso l’attacco di Damasco. Mentre non è prevista nessuna misura restrittiva, ad esempio, nei confronti del monarca del Baharain, Hamad al Khalifa, che pure ha represso nel sangue il movimento per le riforme e la democrazia di Piazza della Perla. Forse però la lunga mano della CIA non è arrivata fino al Bahrain che rimane un buon alleato per gli USA. L’ipocrisia degli equilibri geopolitici a volte causano dei black out nel piano dell’“esportazione della democrazia”: in questo caso la Ragion di Stato impone ai governanti di fingere di non vedere. Un po’ come nel caso delle violenze in Myanmar o in Tibet condannate ma lasciate a se stesse. Ovvio, non ci si può opporre alla Cina.
La ragione che muove le più sublimi intenzioni degli Stati Uniti è infatti “lo zelo nel portare agli altri i valori che definiscono l’identità nazionale americana” per dirla come Chomsky. È per seguire questi alti ideali che, come ha ricostruito lo storico David Schmitz, “lungo quasi tutto il ventesimo secolo, gli Stati Uniti hanno sostenuto dittature di estrema destra, in violazione degli ideali politici americani” e del loro impegno a “promuovere la democrazia e i diritti umani”.
Peccato che i diritti umani da salvaguardare vengano scelti con accuratezza dai governi americani in base ai propri interessi che non si identificano con gli interessi della nazione ma, semmai, agli “interessi delle concentrazioni di potere che dominano la società”.
Le lobbies insomma.

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