lunedì 27 giugno 2011

NO TAV: agenti sfondano le barricate a Chiomonte. Ma i valligiani promettono, “perso solo un round, non la guerra”. Quali interessi si celano dietro l’opera.

di Enrica Perucchietti

“Lo stato non può arrendersi”, incita il ministro Matteoli, salutando con gioia l’ennesimo blitz delle forze dell’ordine su in Val di Susa. Casini biasima l’uso della violenza contro la polizia, mentre la Marcegaglia invita il Governo a fare in fretta, per non perdere i finanziamenti.
Questo è il messaggio che da anni i Governi che si sono succeduti – di destra e di sinistra - e i Media nazionali – non locali – ci trasmettono. Che esiste un limitato gruppetto di No Tav brutti, anarchici e violenti che si oppongono irrazionalmente alla costruzione della linea ad Alta Capacità. E insistono, per giunta. Cocciuti nel voler far perdere al nostro Paese questa opportunità. Un po’ come il Ponte sullo Stretto di Messina.
Ma opportunità per chi?
Chi scrive ha lavorato per sei anni in una redazione piemontese e ha visto e vissuto da vicino la vera realtà del movimento NO TAV: le manifestazioni pacifiche, le minacce anarchiche, infine, le sommosse di popolo.
Solo i giornalisti locali – a parte alcuni inviati di La7 e delle Iene – hanno potuto toccare da vicino il vero volto di questa minaccia valligiana, formata non da appartenenti ai centri sociali, o almeno non solo. Il movimento raccoglie il dissenso di gran parte della Valle: uomini, donne, anziani, giovani. Nessuno vuole linea qui. Chi ha ceduto è perché è colluso con gli interessi economici che la costruzione dell’infrastruttura porterà. Molti ovviamente, ma che verranno spartiti tra i soliti nomi, i soliti imprenditori che parteciperanno, si badi bene, alla costruzione dell’infrastruttura, non al suo utilizzo. Interessi che non giustificano i lavori decennali per la costruzione di un’opera inutile quando sarebbe stato possibile il potenziamento della linea esistente. Senza contare il pericolo amianto che con carotaggi di superficie vorrebbero rassicurarci che non esiste.
Mi ricordo quando nel 2005, dopo gli scontri a Venaus – o meglio, dopo che le forze dell’ordine aggredirono e malmenarono di notte donne, anziani, ragazzi ivi tranquillamente accampati – l’allora ministro Bonino e il sottosegretario Rosso giustificarono l’inaudita violenza come legittima risposta all’occupazione abusiva del sito. Sentire la legittimazione dell’uso della forza contro il dissenso in forma pacifica – come allora fu – da parte di un leader dei radicali mi fece accapponare la pelle. Allora un mio collega aveva passato le notti a Venaus e documentato con un video – l’unico – gli scontri. Il video fu subito sequestrato dalla questura, ma solo dopo averlo sbobinato – si montava ancora in analogico. Ciò che emergeva era un’inaudita violenza diretta “a caso” contro gli occupanti: anche donne e anziani presi a manganellate mentre dormivano nelle tende. Nessuna traccia di cospiratori anarchici, di sassaiole o altro. Questo è giornalismo d’inchiesta: un collega che passa le notti con i manifestanti per capire il perché del loro rifiuto all’infrastruttura, e che rischia di prendersi una manganellata in testa pur di documentare i blitz e la reazione dei No Tav ad essi. Non le buffonate che giornalisti nazionali che non hanno mai messo piede in Val Susa ci propinano ogni giorno. Il giornalista di turno ci rifila uno stand up in un luogo al riparo o monta il servizio con le immagini dell’operatore che ha assistito agli scontri, comodamente seduto in una cabina di montaggio a qualche centinaio di km di distanza, facendo riferimento alle notizie ANSA che gli arrivano.
Al momento solo Vendola pare aver condannato il blitz notturno. Se un’intera popolazione non vuole un’opera – ed è stata chiara nel confermarlo – come può un governo “democratico” ricorrere alla forza dopo tavoli dell’Osservatorio farsa? Si badi bene, non è una critica univoca al Governo Berlusconi. Anche il Pd sostiene con forza la costruzione della linea e ha dovuto allontanare dal partito coloro che erano contrari alla sua costruzione. Ciò dimostra quanto i partiti siano asserviti a logiche economiche e di lobby. Non conta lo schieramento – destra, centro o sinistra – nei fatti contano gli interessi a cui fanno capo i vertici di partito che dettano le norme da seguire.
Come si può legittimamente espropriare una popolazione del diritto di manifestare e di proteggere il proprio territorio dallo sciacallaggio quando il trasporto su rotaia è in netto calo?
Restando su un piano meramente economico, lungi dalle diatribe politiche, il Professor Enrico Colombatto, ordinario di Politica economica dell’Ateneo di Torino, PHD alla London School of Economics ed esponente della scuola liberista, ha fatto notare l’inutilità della linea: “tutti i dati confermano come a livello nazionale il traffico transfrontaliero sia cresciuto in misura infinitesimale e perlopiù in direzioni diverse dall’asse Lione-Kiev. Così come pensare di trasferire completamente su rotaia ciò che attualmente circola su gomma è pura velleità”.
Scetticismo condiviso anche dagli investitori privati che non hanno mostrato interesse per la costruzione dell’opera: “questo disimpegno da parte di soggetti che per loro natura sono mossi dalla logica del profitto è di per sé un segnale che dovrebbe allarmare sulla reale convenienza economica di questo progetto”, conclude Colombatto in un’intervista allo Spiffero.
Opinione condivisa da uno studio pubblicato sul sito di Tito Boeri, secondo cui negli ultimi dieci anni il traffico su strada – gomma – è rimasto invariato, mentre quello su rotaia è diminuito del 25%. Il traffico merci, infatti, tra Torino e Lione avviene prevalentemente su strada.
Opinione caldeggiata anche dal noto meteorologo Luca Mercalli che rilancia dalle pagine del Fatto Quotidiano: “I numeri li hanno ben chiari i cittadini della Val di Susa” – sollecita Mercalli – “che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone, lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento No Tav”. E Mercalli in Val di Susa ci vive, quindi ha un’idea più chiara dei colleghi che non ci hanno mai messo piede ma parlano a vanvera. Il meteorologo continua: “Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente. Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 km di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo, di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia”. I dati a cui fa riferimento Mercalli derivano dagli studi eseguiti dall’Università di Siena e dall’Università della California. Il risultato è identico: “la cura è peggio del male”, sentenzia Mercalli.
Il sospetto è dunque che il vantaggio del TAV – Treno ad Alta Velocità - sia la sua stessa costruzione, ovvero un business per i costruttori senza ricadute certe sugli imprenditori locali e sul turismo. I miliardi di euro pubblici – vengano dall’UE o dall’Italia - che verranno spesi serviranno solo a ingrassare i soliti, le Mafie nostrane, a cui attingeranno quei politici che già ora hanno conflitti di interessi con nomine o ruoli nei consigli di amministrazione delle ditte appaltatrici e che nessuno osa rendere pubblici. Ma che tutti conoscono come le imputazioni a loro carico.
E non stiamo parlando del Premier.
Ma loro, i valligiani, non si arrendono.
Per loro è solo un altro round perso, non la battaglia. Paola del leader No Tav, Alberto Perino.

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